Istruzione di qualità, per genitori

Il linguaggio dei bambini

di Silvia Vercelli

Nel 2014, Save the Children ha messo a punto la definizione di “povertà educativa”, per lanciare un allarme sulla situazione italiana di migliaia di bambini in stato di grave denutrizione culturale e sollecitare misure adeguate: bambini che non sono mai stati in un museo, in un teatro, a una mostra, a un concerto, bambini che non leggono libri e che non hanno adulti con cui parlare. Statisticamente questa povertà, spesso invisibile, viaggia a braccetto con la povertà materiale e diventa un debito ereditario in più, trasmettendosi inesorabile dai genitori ai figli. Ma incide anche una colpevole trascuratezza educativa, trasversale alle fasce di reddito delle famiglie di provenienza” G.H.Fresco, L’importanza dei Libri.

Il tema trattato nella terza puntata della rubrica “La mamma secchiona“, tenuta mensilmente dall’Associazione Culturale Lo Zainetto con la partecipazione di  WorldGlocal, è relativo al linguaggio dei bambini e al suo sviluppo, con particolare attenzione alla fascia d’età dell’infanzia (zero – sei anni).

Partendo dalla descrizione delle principali tappe evolutive, ho condiviso durante l’incontro le principali linee guida sui comportamenti più funzionali da parte degli adulti di riferimento, in ciascuna di esse, per sostenere il bambino ad apprendere una conoscenza che non può essere insegnata da nessuno, ma che viene assorbita dall’ambiente stesso. Di qui l’importanza per i genitori di creare le condizioni per favorire lo sviluppo del linguaggio, attraverso la relazione, la motivazione e la contestualizzazione nell’ambito di uno stile educativo orientato alla crescita di individui in grado di esprimere a pieno il proprio potenziale.

In risposta al bisogno di ascolto, rinforzo e interesse sincero da parte del genitore, ma anche di ordine e ripetizione, che caratterizza il bambino nel processo di apprendimento, assume un ruolo chiave la lettura, fondamentale a partire dalla gravidanza, per accompagnare e nutrire con la voce materna prima, con le immagini poi e con la narrazione vera e propria in seguito.

A questo proposito, Sara Colussi (Professional & Business Coach), nel ruolo di testimonial, racconta come, nella propria esperienza di madre, abbia fatto leva sul valore delle storie,  quali punti di ancoraggio alla realtà, espedienti per trattare temi più delicati e occasioni per lasciare spazio al pensiero magico e far viaggiare la fantasia, cimentandosi insieme alle sue figlie nell’invenzione di nuovi finali o nella digressione su possibili trame alternative.

Dopo i suggerimenti di lettura finali e in omaggio al giorno della memoria, da poco trascorso, l’incontro si è concluso con il riferimento a Jella Lepman, giornalista tedesca, che, nel periodo del dopo guerra, scommise sul potere generativo della letteratura, vedendo proprio nell’infanzia l’età in cui va riposta maggiore fiducia e nei libri un ponte possibile fra i bambini di tutto il mondo, per offrire loro visioni degne dell’infanzia, visioni di pace, rispetto, amicizia, gioco e lo slancio vitale del sogno, che le loro immagini alimentano.

Fonte d’ispirazione, più che mai attuale e da tenere a mente nel favorire lo sviluppo del linguaggio e valorizzare l’importanza della cultura, nell’ottica di crescere individui consapevoli, e dotati della capacità di esprimersi con libertà di parola e di pensiero. E in stretta correlazione con l’impegno contenuto nell’Agenda 2030, ai cui obiettivi si collega questa stessa rubrica, con particolare riferimento all’obiettivo n.4, istruzione di qualità

«Ci impegneremo ad assicurare  ad assicurare ai bambini e ai giovani un ambiente stimolante per la piena realizzazione dei loro diritti e la messa in pratica delle loro capacità, attraverso scuole sicure, comunità coese e le famiglie». Estratto da Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 

Per chi fosse interessato all’ascolto, questo è il link al video:

L’Arte del futuro

Che futuro inventerai?


Le questioni sollevate dai pronomi interrogativi “che, quale, quando, chi…”, soprattutto se stimolate per dare risposte individuali ad atteggiamenti condivisi all’interno di una comunità, mi mettono sempre in imbarazzo perché presuppongono risposte che spesso gli interlocutori non forniscono in maniera ponderata.
Tuttavia, l’evoluzione, l’antropizzazione del pianeta e, più in generale, il dialogo tra gli esseri, come insegna la storia della filosofia, si costruiscono sull’alternanza tra domanda e risposta. Due modalità che si alternano per dare ordine alla creazione e che è evidente anche nel segno del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, così come negli Specchi.
Se al convivio dei partecipanti in cui la nascente umanità pose a se stessa la prima domanda erano presenti Adamo, Eva e il Serpente, il quale prospetto le prime soluzioni all’interrogazione, il morso della mela fu “la prima risposta” risolutiva data per colmare le richieste dei nascenti bisogni del genere umano. Una risposta che determinò il passaggio dal Primo Paradiso al Secondo. Le domande costruiscono il futuro e il morso della mela inaugura un futuro che avrebbe visto l’umanità evolversi verso l’arte di fabbricare gli artifici avvicinandosi, in tal modo, ad un potere creativo quasi divino. Possiamo quindi rintracciare in questo particolare momento della storia mitologica a cui segue l’episodio della cacciata dal Paradiso Terreste, l’inizio in cui ha origine l’invenzione del futuro e il Secondo Paradiso.

Le domande presuppongono un cambiamento di direzione, un’alternativa alla situazione presente. Nuove domande sono lo specchio di rinnovati bisogni e trovarvi risposta produce nuovi progetti, oggetti e atteggiamenti.
Nella grandiosa capacità creativa nascosta negli interrogativi troviamo anche la ragione dell’inquietudine che essi generano. Appare chiara, di conseguenza, la necessità di evitare risposte impulsive o egoiste, che sanno soltanto disegnare futuri populisti e iniqui.
In altre parole, progettare il futuro affidandosi alle risposte di chi si appresta a risolvere un interrogativo problematico senza dar voce a un pensiero razionale, ponderato e orientato all’equilibrio, è il primo rischio di un’impresa affatto semplice. L’invenzione del futuro è il compito più complesso che la collettività ha affrontato lungo il percorso della sua evoluzione. Le visioni dei singoli individui devono incontrarsi e interagire con quelle di altri milioni di scenari disegnati osservando il mondo da punti di vista prospettici differenti. L’elaborazione di ognuno di essi, in cui sono identificati i nuovi ruoli delle persone,  presuppone un distaccamento tra l’io del presente e un “prossimo io” scaraventato in uno scenario temporale che deve ancora venire.
Quando il tentativo di mediare tra le diverse prospettive individuali fallisce, si apre lo spazio del conflitto e dello scontro, si dà inizio alle azioni di guerriglia per sconfiggere il nemico, contro colui che ha progettato un futuro diverso dal nostro.
Alle teorie filosofiche e scientifiche, così come alla ricerca sul senso del divino, spetta l’onere di colmare il vuoto tra il presente e il futuro immaginato. Strumenti concettuali raffinati hanno l’incarico di proiettare la prospettiva degli ideali futuribili sulla linea di accadimenti inediti, ancora da progettare e costruire. Un obiettivo a lungo termine, quindi, che per la sua realizzazione coinvolge diverse generazioni, stimolate a muoversi verso un orizzonte che si allontana ogni volta un po’ più avanti ogni volta che si cerca di raggiungerlo e che per questo costringe i contemporanei ad un continuo adattamento delle prospettive visionarie.

Tanto più il futuro progettato si avvicina, diventando presente, tanto più si mantiene fissa la distanza degli orizzonti  ideali, tanto più lontana si spinge l’immaginazione e con essa la sua elaborazione filosofica, scientifica, religiosa. Un processo di costruzione che si svolge nel tempo e che si riflette nel percorso di riflessione, prima individuale e poi collettiva, di Michelangelo Pistoletto, avviato dallo Specchio, transitato dal Terzo Paradiso e approdato alla Mela Reintegrata.
Che, quale, quando, chi…”, pronomi interrogativi promotori di un futuro sfuggente, che scivola via subito dopo che il compimento di un gesto, come un sorriso che lo specchio è riuscito a registrare per un’infinitesimale frazione di tempo. Un solo attimo attraverso il quale ci rendiamo conto che  il Terzo Paradiso, una combinazione equilibrata del tempo passato e del futuro, è già qui presente. Il Terzo Paradiso è il presente. Comprendiamo che è qui e ora che dobbiamo praticare il futuro. Più allontaniamo il futuro dal nostro “fare” presente, più il futuro si trasforma in uno spazio troppo grande da colmare e smette di appartenerci. Questa deduzione ci permette di affrontare con lucidità le trasformazioni in atto, rendendoci consapevoli della possibilità che ciascuno di noi ha di partecipare per migliorare il proprio presente e quello degli altri e di interagire, in questo modo, con il futuro che si consuma istante dopo istante è che sembra irraggiungibile.Partecipare consapevolmente è attivamente al proprio presente è anche il rimedio migliore per contrastare il pessimismo verso l’avvenire.
Per quanto mi riguarda, come regola per orientarmi nel  “fare” presente ho adottato, insieme ai principi del Terzo Paradiso,  l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i suoi 17 obiettivi di sostenibilità. Milioni di persone stanno già facendo la stessa cosa in tutto il mondo. Sono convinto che condividere obiettivi comuni sia un po’ come suonare in una jazz band: una volta individuate le note della linea melodica iniziale il brano si costruisce e si sviluppa insieme,  attraverso variazioni al tema apportate con linguaggi timbrici, strumenti diversi, e la libertà di ognuno dei jazzisti di esprimersi tenendo fermi pochi vincoli necessari allo sviluppo della composizione. Tutti insieme alla fine della performance saranno consapevoli di avere suonato della buona musica prodotta grazie al contributo di ognuno.

Fortunato D’Amico

Tratto da Arte dell’equilibrio / Pandemopraxia cliccare qui.


Resilienza trasformativa

Che cos’è la resilienza, perché questo termine, oggi tornato attuale, viene ripreso anche dall’Asvis in riferimento al tema della sostenibilità e come ciascuno di noi può sviluppare questa capacità ?

Silvia Vercelli intervista a questo proposito Simonetta Scavizzi, diplomata in counseling evoluzionistico della riprogrammazione esistenziale con Mario Papadia presso l’Accademia della Riprogrammazione Esistenziale, riconosciuta da Assocounseling. Grazie all’unione delle sue competenze di counselor con quelle musicali e di insegnante, crea percorsi personalizzati di crescita e sviluppo personale.

Contatti:

https://www.linkedin.com/in/simonetta-scavizzi-88076738/

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