Il Terzo Paradiso e il Carosello Storico dei Carabinieri.

Articolo di Francesco Saverio Teruzzi, pubblicato nel 2017 sul Blog di approfondimento di Fortunato D’Amico CULTURANATURA, La Stampa.

5 giugno 2017, 203° Annuale di Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, presenti le maggiori cariche dello Stato Italiano.
Il 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo ha da circa venti minuti fatto il suo ingresso sulla sabbia del campo della Caserma di Tor di Quinto, intitolata alla memoria del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto.
L’incedere dei cavalieri è imponente, abile, dimostrazione di una maestria che si fonda sulla storia del Reggimento, ultimo interamente montato delle Forze Armate Italiane.
La “carica”, evocativa di Pastrengo, che di fatto è il culmine del Carosello Storico, deve ancora avvenire, e Briciola, la mascotte, è ancora su un lato insieme alla Fanfara del reparto.
Cambio di musica, Somewhere over the rainbow, preparazione di una nuova figura. Figura inusuale per un reparto d’armata, il Terzo Paradiso, quando ci si aspettava la composizione del numero dell’Annuale, il 203, come da tradizione.
Lo speaker ufficiale annuncia l’innovazione, un gesto socialmente e responsabilmente importante, una decisione presa dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette, che sembra andare incontro alle parole appena pronunciate dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti, che ricordava come la divisa e la persona fossero un tutt’uno nell’essere carabiniere, umano, sensibile, equo, coraggioso.
Due minuti e trenta secondi, tanto è durata, artisticamente parlando, la performance.
Due minuti e trenta secondi per me di forte emozione, che mi hanno riportato ai giorni in cui avevo lavorato alla realizzazione dell’Opera di Michelangelo Pistoletto situata al centro della Caserma, sotto i pennoni delle bandiere; ma anche a quando ero bambino e il Maresciallo Cucca era nostro vicino di casa ed io completamente irretito dalla sua divisa; al 5 maggio 2012, quando un tragico incidente ha portato via, insieme ad altre 4 persone, mio cugino Roberto Arioli, presidente dell’Associazione Carabinieri di Aprilia, mentre era diretto a un raduno dell’Arma a Jesolo; al rassicurante incontro con il Comandante della Stazione di Albano Laziale, sempre presente sul territorio.
Due minuti e trenta secondi, un lasso di tempo durante il quale, dati 2016, l’Arma dei Carabinieri avrà contemporaneamente: ricevuto 30 richieste di aiuto, effettuato 21 controlli, identificato 77 persone e 57 veicoli, iniziato un servizio di soccorso e completato più di un servizio di ordine pubblico, denunciato più di due persone e di queste ne stanno arrestando una, sequestrato un furgone di merce pericolosa alla salute pubblica, iniziato un’investigazione scientifica, recuperato un oggetto di rilevanza artistica, attivato un controllo sul tema ambientale, monitorato una persona per matrice terroristica, confiscato 10.000 euro per mafia.
Due minuti e trenta secondi, in cui il Terzo Paradiso entra nella Storia dell’Arma dei Carabinieri, mentre quest’ultima si conferma pare integrante e culturalmente rilevante del concetto Trinamico e della Demopraxia (il fare del popolo), in prima linea nella realizzazione di un equilibrio tra organizzazione pubblica e vita privata, tra società e singoli.

Foto Pierluigi Di Pietro | Video Francesco Saverio Teruzzi

Social Umarells

Autore: Francesco Saverio Teruzzi

Mentre tra un DPCM e l’altro l’Italia sta cercando di uscire indenne o quantomeno non a pezzi da una delle situazioni antropologicamente più strane che le siano mai capitate, sul web prende forza e vigore una figura che può sembrare retorica, ma altamente illuminante del perché poi qualsiasi decisione venga presa, anche completamente aderente alle proprie aspettative, ci si lamenta sempre: il Social Umarell.

Umarell è una parola mutuata dal bolognese “omino” per assurgere a fama nazionale per indicare il tipico pensionato o vecchietto che, dopo aver lavorato per una vita, un po’ per noia un po’ per alimentare i propri ricordi, si posiziona ai lati di un cantiere, preferibilmente aperto nel mezzo di un marciapiede o sul ciglio di una strada, mani dietro la schiena guardando e commentando, a volte dando anche dei consigli, l’operato di chi sta lavorando.

Sarà forse lo stare di più a casa per il Covid-19 o forse proprio lo smart-working, eppure mi sembra che questa figura si stia ritagliando un ampio spazio proprio all’interno non tanto del web, ma dei social network, con una netta predilezione per Facebook (che di fatto i ragazzi di oggi bollano come una cosa per vecchi).

Giallo, arancione e rosso, sono solo uno degli ultimi temi che fagocitano l’attenzione dei Social Umarells, che con ampia e leggera scioltezza sanno passare da Trump al campionato di calcio, dalla didattica a distanza alla scelta dei vestiti della giornalista di turno, dall’ultima serie televisiva alla chiusura anticipata di bar e ristoranti.

Attenzione, il Social Umarell non va confuso con il complottista, il negazionista o il polemista. Il Social Umarell non cerca riscontro, non vuole i like, né cerca la lite a oltranza.

Lui è lì per affermare la sua onnipresenza, per far vedere che va tutto bene quello che fai, però c’è un “ma”, una diversa interpretazione, magari sfumature, ma che in assoluto migliorano e perfezionano il concetto, l’idea, il ragionamento.

È quindi utile il Social Umarell?

Di certo non è il classico “esperto dello gnègnègnè ad oltranza”, ossia colui che viene a smontarti anni di studi perché lo ha letto sulla bacheca di Tizio o ha ricevuto un messaggio da Caio, senza contare che riconosce solo Sempronio come capace di. Lo Gnègnègnè Manager è un personaggio con il quale cerchi anche inizialmente un confronto, ma dove poi perdi, ma solo la pazienza, perché ti cambia argomento, ti fa domande assurde, ti molla dopo che hai scritto due pagine con un semplice “a me non mi convince”.

Il Social Umarell è quasi un nostalgico, è da tempi andati anche se sul web non ha età (e questo è un grande distinguo dalla realtà perché magari è un diciottenne), ti mette il like, magari lo sticker e poi magari ti da ragione fino a quando non ti piazza l’appunto, il commento, la sua valorizzazione o specifica sul tema trattato.

Ripeto: è quindi utile il Social Umarell? 

A volte fa compagnia, a volte un po’ tristezza, ma magari, e di questo bisognerebbe chiedere agli operai di un cantiere, a volte può esser “anche” utile, perché veramente conoscitore a fondo della materia, però (e qui son io a voler mettere un però) non sia mai che finisca in una discussione con leoni da tastiera, perché lì veramente può succedere di tutto! 

Proteggi Cittadellarte

Perché fare un crowdfunding?
C’è un lato economico certo, ma anche uno che parla di solidarietà. Che ti racconta che quello che hai fatto in tanti anni ha un senso, che è utile, che aiuta la gente parlando di cultura, sostenibilità, responsabilità, in una parola ARTE.
Cittadellarte è un luogo creato negli anni novanta da Michelangelo Pistoletto, l’ultima alluvione l’ha profondamente ferito e ora serve la tua solidarietà, fai un gesto d’amicizia: https://derev.com/proteggi-cittadellarte-protect-cittadellarte
Grazie per la condivisione.
Rebirth-day/Terzo Paradiso

Weak Links

Articolo di Francesco Saverio Teruzzi

Luca Lagash, Carlo Ratti e Will Smith. Artista e musicista il primo, affermato architetto il secondo e tra gli attori più conosciuti al mondo il terzo. Cosa hanno in comune tra loro? Questo articolo. Luca Lagash l’ho conosciuto telefonicamente, anni fa, quando con il Collettivo OP sembravano crearsi le condizioni per un’operAzione Terzo Paradiso se non ricordo male nelle Marche. Non se ne fece nulla, ma rimanemmo in contatto e, lo scorso anno, Luca accettò di partecipare a una mia idea, la Lectio Marginalis, al Macro Asilo di Roma, a “margine” del concerto dei Marlene Kuntz, di cui è il bassista, che si sarebbe svolto il giorno dopo a Roma. Circa un’ora e trenta (potete vederla qui) di conversazione, tra arte, musica, schemi ed idee, in una collaborazione che successivamente abbiamo rinnovato con un articolo di Luca per Pandemopraxia | L’Arte dell’equilibrio, contenitore di proposte e azioni per il post Coronavirus, pubblicato sul Journal di Cittadellarte (per l’articolo cliccare qui). Partendo dall’attuale lavoro che il Collettivo OP sta realizzando, Uno di Un Milione, Luca introduce il tema della ramificazione delle azioni isolate come agente scatenante di relazioni, esperienze, costruzioni di nuovi saperi e collezione di antichi e recenti saperi. La pandemia? Un doppio vero problema, come malattia certo, ma anche come elemento deleterio: alle relazioni sociali, alle mappe esperienziali concrete, ai nuovi orizzonti creativi. Luca, con il suo articolo, mi introduce ai weak links, ai collegamenti deboli, e di fatto mi presenta Carlo Ratti. Carlo Ratti, architetto e ingegnere, insegna al mitico MIT, Massachusetts Institute of Technology, di Boston ed è ritenuto una delle 50 persone in grado di cambiare il mondo. Carlo Ratti ha recentemente affermato che se ora tutto il mondo è in stand-by, è dalle Università che bisogna ripartire e le stesse devono accogliere la richiesta di rinnovamento, in prima persona. Con il richiamare alla necessità di sostituire le aule con i laboratori Carlo Ratti introduce il tema dei weak links, scambi e interazioni tra studenti e tra studenti e docenti che provenendo dalla casualità dei nostri incontri divengono importantissimi nel creare imprevisti, innovazione, creatività. In un’ottica di smart cities questo mi ha riportato alla mente una scena di un film del 2004, Io, Robot, di Alex Proyas con interprete principale Will Smith. Avveniristico e fantascientifico, ambientato in una vera e propria super smart city del futuro, racconta del tentativo, non spoilero, di avvicinare sempre più il robot, la macchina, all’uomo. In uno dei passaggi, Will Smith ritrova dei vecchi modelli di robot in un container e, questa la deduzione filosofica, non sono sparsi per lo stesso, ma tutti raggruppati in un angolo, quindi portatori e conoscitori di concetti alla base dell’umanità: la paura e la necessità di comunità. Weak links, paura e comunità. Cosa ci sta succedendo? Possiamo non riconoscerci più in quello che eravamo? Oppure, possibile che non sapevamo cosa eravamo? Nel momento stesso in cui ci hanno tolto la prossimità, gli anelli deboli si sono spezzati e così il nostro senso civico e della morale, c’è stato un inasprimento dei giudizi, delle sentenze, delle condanne da web e il momento della caduta sembra più prossimo a una ricaduta che a una riscossa. Cito Carlo Ratti che cita l’ex sindaco di Chicago, Emanuel Rahm: «non lasciare mai che una crisi vada sprecata». Delle due l’una: o approfittiamo della nuova flessibilità e della riscoperta di avere un proprio tempo per riorganizzare e rinnovare la società, oppure… no, dai cazzo un oppure no! I weak links, i collegamenti deboli, diventano così fondamentali, necessari, così come fondamentale e necessario ne è il loro rispetto. Perché, in assoluto, il collegamento debole, sporadico ma di prossimità, è il contatto con l’altro. L’ALTRO generico, non definito, diverso, differente, l’altro che per l’altro sei tu. Non deve essere, quindi, la paura a renderci succubi e assertivi, ma il rispetto, il senso di responsabilità, il capire che l’applicazione di alcune regole non è per paura, ma per tornare prima a una, speriamo però nuova, normalità. Economicamente non è il problema di pochi o tanti, è il problema di tutti, e se io voglio che si possa poter tornare a parlare di crescita economica, distribuzione delle risorse e, per dire, viaggi e vacanze, lo si potrà fare soprattutto attraverso strumenti (mascherine, igienizzanti, distanziamenti, ecc.) simbolo di una regolamentazione che ci permetterà di tornare a lavorare tutti, tutti e non solo io… o tu. Rispetto, responsabilità e comunità, queste le parole chiave del durante Pandemia. Innovazione, rispetto, responsabilità e comunità, queste le parole chiave del post Pandemia.

Fratellì

Autore: Saverio Teruzzi

La scorsa settimana due notizie giunte alla ribalta dei social mi hanno colpito. La prima riguardava l’appostamento con conseguente arresto di un sedicente rapper romano divenuto famoso su web e whatsapp non per le sue doti canore, che non conosco, ma per le sue imprese alla guida della macchina dove, a mezzo diretta social, “insegnava” un certo tipo di guida ai suoi followers. Nel video che lo ha reso famoso a un certo punto prendeva un muro e al grido di “ho preso il muro fratellì, ho preso il muro. Se hai salvato il video hai fatto i soldi fratellì, hai fatto i soldi fratelli”, ha iniziato a invadere pc, laptop e, ovviamente, smartphone di chiunque, con tanto di meme e prese per i fondelli varie. La sua sfortuna è stata che il clamore generato, oltre ad aver scatenato haters di tutti i tipi, ha smosso la curiosità delle forze dell’ordine, che hanno semplicemente tracciato gli spostamenti ripetuti di “Fratellì” dalle sue dirette per aspettarlo e arrestarlo agevolmente. Sempre dai video i capi d’accusa. La seconda riguardava Francesco, ragazzo di Pordenone che per passione del calcio si sposta a vivere dalla nonna a Monfalcone, cambiando anche scuola e incontrando una professoressa che riesce a stimolare lui, come i compagni di classe, nella passione per la matematica. Così Francesco si applica, applica le sue innate doti e a sedici anni inventa una nuova formula per il calcolo dell’area di un segmento parabolico (ammetto di avere difficoltà anche a capire cosa ho appena scritto) per “velocizzare” la formula algebrica in utilizzo che si rifaceva al Teorema di Archimede. Ah, tra l’altro Francesco, che di cognome fa Bulli, suona il violino… così per dire. Due notizie, direi abbastanza opposte, che hanno circolato sul web con alterne vicende. La prima desta ancora scalpore e nel frattempo anche il padre si è prodigato in difesa del figlio. La seconda la devi cercare con Google, Ecosia o il vostro motore preferito. C’è da scandalizzarsi? E perché? Serve questo o altro esempio per indicare il momento in cui viviamo? Io stesso mi sto chiedendo se sia il caso di continuare a scrivere un articolo se poi non la media, ma la stragrande maggioranza di chi frequenta internet non ha la pazienza di terminare di leggere un post? Spesso mi capita di argomentare con gli amici sulla necessità di alzare il livello medio della cultura generale. Il problema però è capire il come, perché 10 Francesco hanno sicuro un potere di miglioramento, ma a livello sociale, parlando di società, non modificano i valori normali. “Ma è sempre stato così!” Sì, è vero, ma non lo sapevamo. Non avevamo i mezzi tecnici per comprendere tante cose, eravamo manipolati, ma non avevamo modo di arrivare alle manopole. Oggi potremmo. Potremmo, ma con quali mezzi? Basta attivarsi? No, è necessario attivarsi, ma essere anche coscienti sul che cosa, come e perché attivarsi. In Italia abbiamo avuto un passaggio da prima a seconda Repubblica praticamente indolore, probabilmente incolore, sicuramente fittizio. Tra gli anni novanta e il primo decennio del secolo attuale abbiamo assistito al crollo dei vecchi politici, a un iniziale peggioramento della classe dirigente, all’entrata dell’euro a completo discapito delle classi sociali più basse e al disfacimento di alcuni valori già per noi precari. Nell’ultimo decennio abbiamo visto il sorpasso della propaganda social sulla politica tout court con il raggiungimento di vette auliche con il drink o l’arancino in mano, l’esaltazione della news anche se evidentemente fake e l’imporsi di valori sempre più fast e sempre più consumistici che hanno decretato definitivamente la morte non solo del comunismo, ma anche del capitalismo come lo conoscevamo. Di certo è successa una cosa che la pandemia del Coronavirus non ha fatto altro che rendere pubblica: a distanza di 30 anni si è completato il processo di sostituzione e nell’amministrazione pubbliche, centrale e/o locale, il livello medio di preparazione è crollato, non è morto il clientelismo e le nuove generazioni sono meno appassionate al concetto di cosa pubblica. Per questo eravamo impreparati, anche se un piano anti-pandemia c’era, solo che non lo sapevano; per questo non c’era alternativa al lockdown, tutti bravi a parlare dopo; per questo c’è ancora chi dice che non è successo poi un granché, perché è capitato in Lombardia, se il focolaio di Covid-19 si fosse scatenato nel Lazio molto probabilmente avremmo assistito a una strage. “Quindi i mali dell’Italia sono da ricercare negli impiegati pubblici?” No, nell’evasione fiscale, nella concussione/corruzione e nella criminalità organizzata. Il resto è figlio di questi fattori, ma forse è più facile metterci mano.

Ponte ponente ponte pì, pande pandemia!

Autore: Francesco Saverio Teruzzi

“A pensar male del prossimo si fa peccato ma spesso si indovina” è una famosissima frase di Pio XI più conosciuta e citata, almeno in Italia, nella formula di Giulio Andreotti.

Di certo, è la base fondante di qualsiasi serio complottista!

Se c’era una cosa che da sempre metteva in crisi il complottista era la scarsa visibilità, la facilità con la quale poteva esser messo a tacere, l’impossibilità di far conoscere le sue teorie.

“Sì, però poi è arrivato internet”, vero, ma non sufficiente.

“E i social?”

Eccoci, questo è il punto, il social è l’abbattimento della tradizione orale, il superamento della parola scritta e l’esaltazione della condivisione.

Non è più un componimento francese che parla di mercato, vendita di mele e un ladruncolo, che diventa una conta popolare italiana, è il chiacchiericcio da bar al potere.

Allora per una volta voglio seguirlo, voglio dire e dare la mia verità, perché io, come tanti, la verità ce l’ho, non è un’ipotesi, un’opinione o una, figuriamoci, ricerca. Io non mi perdo nemmeno in voli lessico-pindarici che uniscono un audio del ’90, con un trafiletto del 2002 o un video segretissimo (che stava su YouTube!) del 2015, io so chi è il colpevole della realizzazione e diffusione del Covid-19.

Volete saperlo anche voi?

Rullo di tamburi?

Signore e signori, il colpevole è: l’UOMO.

“L’uomo? Quindi sei per il laboratorio, per i militari, per il è colpa degli U.S.A. no è colpa della Cina, no è colpa del Club Bilderberg, insomma il complotto?”

Ma non lo so.

“Ma come? Hai appena detto in pompa magna che sapevi chi era il colpevole?”

Vero, ma mica ho detto che sapevo cosa fosse successo!

Il problema vero è che in una relazione causa-effetto sembra che la via più semplice sia sempre l’ultima delle possibili possibilità.

Sicuramente ha importanza sapere come si sono svolti i fatti, ma di certo, vuoi che si riescano a scoprire prove inconfutabili che il Covid-19 sia stato prodotto in laboratorio ovvero sia la mutazione di un precedente virus avvenuta in natura, il tutto non può che ascriversi all’uomo.

Perché? Perché se la natura muta e velocemente nell’ultimo periodo, se dobbiamo assistere a stravolgimenti dovuti ai cambiamenti climatici, se gli Organismi Internazionali stan cercando di portarci a raggiungere degli obiettivi sostenibili per il 2030, ebbene c’è sempre e solo un minimo comune denominatore: l’uomo o, se preferite, la razza umana.

“Ma che cosa c’entra la semplicità?”

È semplice: soprattutto negli ultimi anni, gli stravolgimenti dovuti al cambiamento climatico sono alla portata di tutti. Non si è più costretti ad andare nello spazio per misurare il buco dell’ozono (che si sta richiudendo per la serie: si può fare!), ma basta osservare le mutazioni meteo ognuno a casa propria, rispetto un passato non troppo lontano e quindi a memoria d’uomo.

Tsunami, scioglimento dei ghiacciai, terremoti, desertificazione, inondazioni, migrazioni, guerre, tutte conseguenze dei cambiamenti climatici, tutte conseguenze dei medesimi fattori scatenanti e con un responsabile principale, immagino abbiate capito a chi mi riferisco.

Quindi, e per concludere, se l’uomo è in grado di far scomparire isole, sommergere coltivazioni, prosciugare pozzi, far estinguere suoi co-abitanti di questo meraviglioso pianeta, cosa può succedere a una proteina contenuta in un pipistrello che ha visto modificato anche solo di dieci metri il suo habitat e che al mercato mio padre comprò?