Enzo Maolucci: una vita di avventure

“Le note in libertà” di un rocker, idolo della cultura giovanile degli anni ’60, ’70, ’80, suonate dalle chitarre elettriche e amplificate da una Torino operaia del secolo scorso, che non era certamente New York ma come dicevano le statistiche di allora “la seconda città del Sud Italia dopo Napoli”, oggi sono diventate le pratiche armoniche e le esperienze di survival del Salgari Campus. L’intervista di Fortunato D’Amico


FDA- Enzo Maolucci: nato, cresciuto, diventato grande artista rock e della parola cantata per la “bella generazione perduta nella via” del secondo millennio, quello che ormai ci siamo lasciati alle spalle, è oggi l’uomo di “survival”. In questo trapasso epocale, dove tutto non è, e non sarà più, come prima, come si è mimetizzato e chi è l’artista rivoluzionario in questo scorcio di terzo millennio?


EM- Mene sono fatto un’idea interessante che però vorrei solo cantare. Se uscirà mai il mio nuovo album “Quand’ero vecchio” lo scoprirete in una delle mie nuove canzoni proprio su questo. Siamo ladri di pensieri e centrifughe di parole, ma siamo l’unica “PRAXICRAZIA” che può salvare il mondo, perché le parole sono profezie e, come le frecce, non tornano indietro.


FDA- Intravedo un senso di ironia in queste parole che hai appena pronunciato, ma d’altra parte intuisco anche che in questi anni, essendoti immerso nella natura del Salgari Campus alla ricerca di nuovi stimoli e percorsi di sopravvivenza, hai certamente maturato una profonda comprensione del rapporto uomo natura, dell’utilità dell’arte, del ruolo suoi praticanti all’interno di in una società contemporanea, sempre più complessa e globalizzata, in rapida e continua trasformazione.

EM- Il termine “arte”, come la parola “sopravvivenza”, ha assunto un significato generico, ormai usurato e poco classificabile. Gli artisti invece credo che si possano distinguere in almeno tre classi diverse che provo a definire utilizzando la mia recente mania per le classificazioni “tassonomiche” in campo non solo biologico e antropologico, ma anche sociale o musicale. a) Gli artisti INNOVATIVI. Sono quelli che spostano davvero orizzonti, o li inventano, o li trovano per caso; quelli che possiedono dunque “originalità” . Ma l’innovazione è rara anche nell’arte, e diventa virale solo un paio di volte ogni secolo (inoltre “il nuovo non è mai bello, mentre il bello non è mai nuovo”). b) Gli artisti CREATIVI. Sono quasi sempre “predatori” e/o trasformatori di idee che sono nell’aria e che cercano di rendere più belle, divulgabili e di successo. c) Gli artisti ARTIGIANI. Sono replicanti di idee altrui o loro. Per questi il talento, la tecnica e la competenza non sono solo valori aggiunti o facoltativi come per gli altri , ma indispensabili per il loro riconoscimento. Tra questi generi esistono ovviamente anche delle ibridazioni. Salgari ad esempio, in campo letterario, è stato solo occasionalmente un innovatore, ma era un creativo e anche un buon artigiano (per necessità).

FDA- Forse hai ragione, ma chi leggerà quest’articolo potrebbe anche chiedersi, indispettito da tanta tassonomia : “ma chi è Enzo Maolucci per dire tutto questo?

EM- La Regina Rossa chiede ad Alice: “Non raccontarmi la tua storia, dimmi chi sei”. E Alice risponde: “Ma io sono la mia storia!”. Siccome non ho mai lavorato un giorno nella vita e me la sono sempre sfangata mettendo a frutto le mie idee, posso anche io bollarmi come “artista creativo”, anche se generico, cioè senza un campo specifico. Sono anche un buon artigiano occasionalmente originale ma, come per Salgari, quello che più mi caratterizza è forse la mia stessa storia. Ho avuto un talento rockettaro sprecato, mi sono sinistrato scrivendo e cantando canzoni, mi sono divertito a fare il professore eretico di lettere e poi di Outdoor a Scienze motorie, ho brevettato un po’ di strumenti fortunati, ho scritto la prima tesi sui Beatles da musicologo mancato, mi sono inventato la sopravvivenza sportiva organizzando gare di successo e diventando Presidente della Federazione Survival, ho coniato neologismi per scherzo ma ora adottati sul serio, ho ideato cocktail fantastici, sono diventato un antropologo da spiaggia per mostre regionali e parchi a tema, sono guarito dal ’68 come anarchico “comunquista”, ho collezionato compulsivamente culture materiali primitive, realizzato ponti tibetani e impianti “eco-dinamici” con tre Guinness dei primati, organizzato spedizioni in Africa, scritto “manuali narrativi”, costruito archi e frecce che tiro solo virtualmente… E quant’altro sanno i pochi che mi conoscono e i molti che mi frequentano.


FDA- Hai una creatività compulsiva. Non è forse una malattia? Ma tra questi infiniti gesti, azioni, opere realizzate e frutto di una creatività incontrollabile, scagliate controvento e tirate a braccio teso come le frecce di un arco, quale pensi abbia davvero colpito il centro dei tuoi bersagli motivazionali?


EM – L’ opera che si è rivelata innovativa e mi ha dato maggior riscontro è il “Salgari Campus” di Torino: 10 ettari di bosco collinare spontaneo in perenne “precarietà disinvolta” e trovato per caso. “Il caso e la necessità” del SALGARI CAMPUS (l’avventura di conoscere, inventare e realizzare). Più di un secolo fa vi passeggiava Emilio Salgari per vederci le sue jungle nere e i suoi pirati (abitava nei pressi e ha deciso di farla finita lì vicino con un harakiri). Anche io per destino sono cresciuto in quella zona e lì ho iniziato da piccolo le mie prime avventure nei boschi. Nel 1989 l’ho riscoperto per caso e ora è frequentato da decine di migliaia di visitatori ogni anno: studenti, survivalisti, manager in team building, famiglie gitanti, eco-architetti, cinghiali, volpi, caprioli, scoiattoli e anatre a mollo nel rio che lo attraversa. E’ un tripudio di olmi, noccioli, querce e castagni autoctoni, ma anche di bambù, ailanti, paulonie e acacie aliene, in perfetta simbiosi caotica a tre chilometri dal centro città e a molte migliaia dall’esotico che ora rappresenta. E’ sotto-nominato “Parco di Ecologia Umana”, per chi sa cosa significa. Vi si tengono stage e corsi di paleo-etnologia, archeologia sperimentale, fitoalimurgia, Outdoor training, Animal Round , Trail Running, meeting scientifici e culturali, visite di istruzione, Surviving, Depriving, Tracking, Tree-climbing, Bushcraft, Eco-orienteering e altre attività emergenti con quelle denominazioni gerundive che esprimono entusiasmo e partecipazione. Tutto questo per riempire uno splendido… NULLA.


FDA- Ma cosa intendi per Nulla? E’ un posto così ricco di vita, di poesia, di ispirazioni selvaggie e poetiche che ti invadono appena pochi metri dal recinto di ingresso…


EM- Sì, è vero: ma intendo dire che non c’è nulla di stabilmente umano, tranne “ogni immaginabile altrimenti possibile”: qualche riparo neo-etnico, ponti e passaggi arborei in corda, attrezzi e labirinti eco-dinamici. Anche le poche e fatali concessioni alle normative obbligatorie, in fatto di servizi, luce e acqua, rivelano un’assertiva precarietà. Il luogo è sottoposto a un incubo di vincoli: paesaggistici, ambientali, idrogeologici e anche “stupidologici” (come le vie di fuga per il piano di sicurezza, mentre questo è un luogo di fuga, non da cui fuggire). Un vecchio piano regolatore l’ha considerata velleitariamente una zona a parco collinare, ma l’unico parco lì esistente è questo, un vuoto geograficamente interstiziale di proprietà della mia Associazione, circondato da ricche ville con proprietari imbufaliti e inclini a ormai inutili esposti. I problemi infatti sono stati acrobaticamente superati da una recente convenzione con la Città per l’uso pubblico dl questo centro, con grande imbarazzo di funzionari zelanti (oltre che nostro) e grazie alla sua fama ormai conclamata e i patrocini ottenuti anche dalla Regione per il servizio formativo, sportivo e ambientale che offre. Il Salgari Campus è impegnativo e costoso per noi, ma non per chi lo frequenta e che, diciamolo pure, ne esce sempre goduto come un fauno e ci ritorna volentieri.

FDA- Il Salgari Campus, forse grazie anche a questa precarietà dell’ Essere Natura, ma anche per essere oggetto e soggetto di inaspettate richieste di cambiamenti, è cresciuto sviluppando in sè una grande resilienza e una pronunciata attitudine all’adattamento, anche alle necessità espresse dagli stessi frequentatori della struttura.


EM- Pur avendolo pensato inizialmente come un campo per soli arcieri e survivalisti, il luogo mi ha suggerito presto l’idea di un parco antropologico antesignano per tutti, che pensavo di poter realizzare in un posto meno critico della nostra angusta Valle di Reaglie. Questa prospettiva ha tenuto l’Assessorato alla Cultura regionale impegnato per 10 anni nel mio “Progetto “Anthropos”, finito poi in un vicolo cieco per il cambio politico e approdato nel 2004 solo a una edizione speciale della la mostra scientifica “Experimenta”, intitolata “SopraVVivere”, che ha esibito tra l’altro il ponte tibetano più lungo del mondo rimasto per tre anni sul Po (375 metri, un’opera di “land art” passata sotto tono solo per via dell’endemico riduzionismo torinese). Ma tutto il progetto ho deciso di farlo ritornare al Salgari Campus, insieme ai pochi materiali e manufatti della mostra che sono riuscito a salvare e sono ancora presenti (una piroga, un labirinto vietnamita, chilometri di funi del ponte e altri cimeli). Così è iniziato il successo.


FDA- Un successo che mi pare abbia avuto tante richieste di replica?
EM – Questo format di “Eco-Campus” l’ho replicato in siti anche più belli in tutta Italia, ma non hanno ottenuto il successo dell’originale (come tutte le copie su commissione). Stiamo ora pensando invece di allargare gli orizzonti del Salgari inserendo al suo interno opere d’arte “site specific” di artisti in linea con l’Agenda 2030 dell’ONU per l’ambiente (una mostra outdoor permanente di “Arte, Natura e Avventura”), ma la prima opera artistica, forse concettuale o “povera”, è proprio il posto in sé, lo sgarruppato fascino che esprime e l’uso meta-disciplinare che ne facciamo con poche risorse ma con “passione, missione e convinzione” (l’unico requisito necessario per chi vuole comunicare, sedurre e coinvolgere il prossimo).


FDA – Oggi in un’Italia percorsa da problemi di ogni genere, non solo economici e ambientali, ma anche sociali e di adattamento, derivati dalla presenza di cittadini provenienti da Paesi stranieri, portatori di diversità culturali, che invece di essere considerate una ricchezza e un arricchimento da condividere all’interno della comunità sono spesso percepite come presenze portatrici di disagi e separazione, Salgari Campus oggi propone un suo modello di pratica comunitaria alternativa e di incontro riportando in primo piano la relazione uomo-ambiente naturale.


EM- Certo che facciamo “inclusione sociale” (e che altro potremmo fare senza un vasto target inclusivo?); certo che aboliamo le barriere (non quelle naturali e di sicuro non quelle architettoniche, ma quelle “mentali”); certo che educhiamo i ragazzi al rispetto dell’ambiente e alle pari opportunità (ma in realtà da noi è l’ambiente che ci istruisce, ci tollera e ci dà opportunità). “L’ecologia si vive, non si insegna”, dice uno dei progetti che abbiamo sviluppato ( “S.A.F.E.” -Salute Ambientale e Formazione Eco-logica”). L’immaginazione non ha bisogno di “servizi” e di “norme”. Il Salgari Campus si trova ai margini dell’impossibile, una sorta di terra di mezzo tra la mente e l’ambiente. Da noi gli intellettuali fanno anche i boscaioli e i boscaioli possono sfoggiare anche intelletto (non è una distopia maoista). Per le varie Associazioni che operano nell’hub del parco ci sono solo 4 imperativi survivalistici da rispettare: “inventare, adattarsi, risolvere complessità sociali e raggiungere lo scopo”.


FDA- Potresti dare una definizione di Survival coerente con le pratiche operative che svolgete a Salgari Campus?

EM- Il Survival per noi è una meta-disciplina olistica e proattiva, è scienza del pericolo (“supervivitur, sic vivitur” è il mio motto latino apocrifo). Non riguarda Rambo, ma la salvaguardia di individui, gruppi e comunità umane, inclusa la specie stessa e le sue culture materiali e cognitive (soprattutto quelle basiche e primitive). Chi non mi vede da 40anni si stupisce di questa mia svolta che sembra inedita o solo amatoriale, data la mia prediletta e nota vocazione a vivere in un attico di Manhattan. Ma il fatto di preferire gli antromi ai biomi e gli adulti ai bambini non mi ha esentato da un successo imprevisto proprio in questo campo per me alieno e serendipitico. Ho sempre sostenuto che la “natura” non esiste (al di fuori di noi che ne facciamo dannatamente parte) e che i bambini sono gli esseri più crudeli e insopportabili (lo so perché lo sono stato anch’io e lo sono ancora come tutti gli artisti). Eppure con loro ho sempre convissuto, appagandomi anche della loro esistenza, senza adattarmi a “comprenderli” ma cercando invece di capirli e riconvertendomi per relazionarmi con loro in modo utile e proficuo, per loro e per me (nell’evoluzione questo si direbbe “exaptation”). Anche se la “natura” e i bambini non mi divertono, vado sempre in Africa (che ne è piena) perché mi insegnano sempre qualcosa che non so, al contrario del mondo più strettamente umano ma inutilmente pensante (colto o ignorante che sia).

“ I COMANDAMENTI DI EMILIO ” (all’ingresso del suo Campus)
Fratelli e sorelle della costa, tigrotti del bosco e dell’avventura, siate i benvenuti.


1- Muovetevi leggeri, qui non ci sono aiuole che è vietato calpestare, ma la terra che calpestate è antica, come antica è la terra.

2- Non lasciate qui nulla di ciò che avete portato.

3- Non portate via nulla di ciò che è stato lasciato.

4- Questo luogo e la sua storia sono sopravvissuti come noi ai limiti della fantasia e ai margini della follia: godetene senza offenderli.

5- Rispettate le creature che lo abitano e le loro modeste creazioni: il nido del picchio, la tana del tasso, i ponti e le capanne di noi umani.

6- Condividete liberamente con noi e tra voi ogni presenza.

7- Toccate, esplorate, gustate ogni cosa e sentitevi bene.

8- Parlate quando vi piace, ma tacete quando le parole non servono e sappiate ascoltare.

9- Usate come sole armi i vostri talenti, come attrezzi i vostri pensieri, come veicoli i vostri corpi.

10-Gioite se tutto ciò può ancora esistere e rendete grazie di poter esistere per vederlo.

(Apocrifo di Emilio Salgari, nato a Verona nel 1862 e qui suicida il 25 aprile 1911)


Nell’arco della vita siamo noi le frecce: prima ci libriamo veloci con le nostre speranze e poi scendiamo lentamente, sotto il peso dei ricordi”

Enzo Maolucci – Torino, 30 gennaio 2021

Campus Party con Celeste Righi Ricco

” Campus Party, la più grande esperienza di innovazione e creatività al mondo per under 30, lancia Campus Party Spotlight, un format globale e totalmente digital incentrato su circolarità, sostenibilità, climate action ed energia pulita. Sul Main stage ci saranno decine di speaker internazionali, tra cui giovani leader che parleranno del ruolo che i giovani ricoprono nell’ assicurare una transizione sostenibile all’insegna dell’innovazione. Celeste Righi Ricco parteciperà all’evento come co-fondatrice e rappresentante dell’associazione Pensare Globalmente Agire Localmente, affiancata da Irene Ghaleb, vice presidente di Change For Planet, e Davide Paturno, presidente di Social Innovators. Seguiteci il 28 Gennaio dalle 19 alle 20 pm. ” Link:  https://spotlight.campus-party.org/agenda/

L’Arte del futuro

Che futuro inventerai?


Le questioni sollevate dai pronomi interrogativi “che, quale, quando, chi…”, soprattutto se stimolate per dare risposte individuali ad atteggiamenti condivisi all’interno di una comunità, mi mettono sempre in imbarazzo perché presuppongono risposte che spesso gli interlocutori non forniscono in maniera ponderata.
Tuttavia, l’evoluzione, l’antropizzazione del pianeta e, più in generale, il dialogo tra gli esseri, come insegna la storia della filosofia, si costruiscono sull’alternanza tra domanda e risposta. Due modalità che si alternano per dare ordine alla creazione e che è evidente anche nel segno del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, così come negli Specchi.
Se al convivio dei partecipanti in cui la nascente umanità pose a se stessa la prima domanda erano presenti Adamo, Eva e il Serpente, il quale prospetto le prime soluzioni all’interrogazione, il morso della mela fu “la prima risposta” risolutiva data per colmare le richieste dei nascenti bisogni del genere umano. Una risposta che determinò il passaggio dal Primo Paradiso al Secondo. Le domande costruiscono il futuro e il morso della mela inaugura un futuro che avrebbe visto l’umanità evolversi verso l’arte di fabbricare gli artifici avvicinandosi, in tal modo, ad un potere creativo quasi divino. Possiamo quindi rintracciare in questo particolare momento della storia mitologica a cui segue l’episodio della cacciata dal Paradiso Terreste, l’inizio in cui ha origine l’invenzione del futuro e il Secondo Paradiso.

Le domande presuppongono un cambiamento di direzione, un’alternativa alla situazione presente. Nuove domande sono lo specchio di rinnovati bisogni e trovarvi risposta produce nuovi progetti, oggetti e atteggiamenti.
Nella grandiosa capacità creativa nascosta negli interrogativi troviamo anche la ragione dell’inquietudine che essi generano. Appare chiara, di conseguenza, la necessità di evitare risposte impulsive o egoiste, che sanno soltanto disegnare futuri populisti e iniqui.
In altre parole, progettare il futuro affidandosi alle risposte di chi si appresta a risolvere un interrogativo problematico senza dar voce a un pensiero razionale, ponderato e orientato all’equilibrio, è il primo rischio di un’impresa affatto semplice. L’invenzione del futuro è il compito più complesso che la collettività ha affrontato lungo il percorso della sua evoluzione. Le visioni dei singoli individui devono incontrarsi e interagire con quelle di altri milioni di scenari disegnati osservando il mondo da punti di vista prospettici differenti. L’elaborazione di ognuno di essi, in cui sono identificati i nuovi ruoli delle persone,  presuppone un distaccamento tra l’io del presente e un “prossimo io” scaraventato in uno scenario temporale che deve ancora venire.
Quando il tentativo di mediare tra le diverse prospettive individuali fallisce, si apre lo spazio del conflitto e dello scontro, si dà inizio alle azioni di guerriglia per sconfiggere il nemico, contro colui che ha progettato un futuro diverso dal nostro.
Alle teorie filosofiche e scientifiche, così come alla ricerca sul senso del divino, spetta l’onere di colmare il vuoto tra il presente e il futuro immaginato. Strumenti concettuali raffinati hanno l’incarico di proiettare la prospettiva degli ideali futuribili sulla linea di accadimenti inediti, ancora da progettare e costruire. Un obiettivo a lungo termine, quindi, che per la sua realizzazione coinvolge diverse generazioni, stimolate a muoversi verso un orizzonte che si allontana ogni volta un po’ più avanti ogni volta che si cerca di raggiungerlo e che per questo costringe i contemporanei ad un continuo adattamento delle prospettive visionarie.

Tanto più il futuro progettato si avvicina, diventando presente, tanto più si mantiene fissa la distanza degli orizzonti  ideali, tanto più lontana si spinge l’immaginazione e con essa la sua elaborazione filosofica, scientifica, religiosa. Un processo di costruzione che si svolge nel tempo e che si riflette nel percorso di riflessione, prima individuale e poi collettiva, di Michelangelo Pistoletto, avviato dallo Specchio, transitato dal Terzo Paradiso e approdato alla Mela Reintegrata.
Che, quale, quando, chi…”, pronomi interrogativi promotori di un futuro sfuggente, che scivola via subito dopo che il compimento di un gesto, come un sorriso che lo specchio è riuscito a registrare per un’infinitesimale frazione di tempo. Un solo attimo attraverso il quale ci rendiamo conto che  il Terzo Paradiso, una combinazione equilibrata del tempo passato e del futuro, è già qui presente. Il Terzo Paradiso è il presente. Comprendiamo che è qui e ora che dobbiamo praticare il futuro. Più allontaniamo il futuro dal nostro “fare” presente, più il futuro si trasforma in uno spazio troppo grande da colmare e smette di appartenerci. Questa deduzione ci permette di affrontare con lucidità le trasformazioni in atto, rendendoci consapevoli della possibilità che ciascuno di noi ha di partecipare per migliorare il proprio presente e quello degli altri e di interagire, in questo modo, con il futuro che si consuma istante dopo istante è che sembra irraggiungibile.Partecipare consapevolmente è attivamente al proprio presente è anche il rimedio migliore per contrastare il pessimismo verso l’avvenire.
Per quanto mi riguarda, come regola per orientarmi nel  “fare” presente ho adottato, insieme ai principi del Terzo Paradiso,  l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e i suoi 17 obiettivi di sostenibilità. Milioni di persone stanno già facendo la stessa cosa in tutto il mondo. Sono convinto che condividere obiettivi comuni sia un po’ come suonare in una jazz band: una volta individuate le note della linea melodica iniziale il brano si costruisce e si sviluppa insieme,  attraverso variazioni al tema apportate con linguaggi timbrici, strumenti diversi, e la libertà di ognuno dei jazzisti di esprimersi tenendo fermi pochi vincoli necessari allo sviluppo della composizione. Tutti insieme alla fine della performance saranno consapevoli di avere suonato della buona musica prodotta grazie al contributo di ognuno.

Fortunato D’Amico

Tratto da Arte dell’equilibrio / Pandemopraxia cliccare qui.


Il Terzo Paradiso e il Carosello Storico dei Carabinieri.

Articolo di Francesco Saverio Teruzzi, pubblicato nel 2017 sul Blog di approfondimento di Fortunato D’Amico CULTURANATURA, La Stampa.

5 giugno 2017, 203° Annuale di Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, presenti le maggiori cariche dello Stato Italiano.
Il 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo ha da circa venti minuti fatto il suo ingresso sulla sabbia del campo della Caserma di Tor di Quinto, intitolata alla memoria del Vice Brigadiere Salvo D’Acquisto.
L’incedere dei cavalieri è imponente, abile, dimostrazione di una maestria che si fonda sulla storia del Reggimento, ultimo interamente montato delle Forze Armate Italiane.
La “carica”, evocativa di Pastrengo, che di fatto è il culmine del Carosello Storico, deve ancora avvenire, e Briciola, la mascotte, è ancora su un lato insieme alla Fanfara del reparto.
Cambio di musica, Somewhere over the rainbow, preparazione di una nuova figura. Figura inusuale per un reparto d’armata, il Terzo Paradiso, quando ci si aspettava la composizione del numero dell’Annuale, il 203, come da tradizione.
Lo speaker ufficiale annuncia l’innovazione, un gesto socialmente e responsabilmente importante, una decisione presa dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette, che sembra andare incontro alle parole appena pronunciate dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti, che ricordava come la divisa e la persona fossero un tutt’uno nell’essere carabiniere, umano, sensibile, equo, coraggioso.
Due minuti e trenta secondi, tanto è durata, artisticamente parlando, la performance.
Due minuti e trenta secondi per me di forte emozione, che mi hanno riportato ai giorni in cui avevo lavorato alla realizzazione dell’Opera di Michelangelo Pistoletto situata al centro della Caserma, sotto i pennoni delle bandiere; ma anche a quando ero bambino e il Maresciallo Cucca era nostro vicino di casa ed io completamente irretito dalla sua divisa; al 5 maggio 2012, quando un tragico incidente ha portato via, insieme ad altre 4 persone, mio cugino Roberto Arioli, presidente dell’Associazione Carabinieri di Aprilia, mentre era diretto a un raduno dell’Arma a Jesolo; al rassicurante incontro con il Comandante della Stazione di Albano Laziale, sempre presente sul territorio.
Due minuti e trenta secondi, un lasso di tempo durante il quale, dati 2016, l’Arma dei Carabinieri avrà contemporaneamente: ricevuto 30 richieste di aiuto, effettuato 21 controlli, identificato 77 persone e 57 veicoli, iniziato un servizio di soccorso e completato più di un servizio di ordine pubblico, denunciato più di due persone e di queste ne stanno arrestando una, sequestrato un furgone di merce pericolosa alla salute pubblica, iniziato un’investigazione scientifica, recuperato un oggetto di rilevanza artistica, attivato un controllo sul tema ambientale, monitorato una persona per matrice terroristica, confiscato 10.000 euro per mafia.
Due minuti e trenta secondi, in cui il Terzo Paradiso entra nella Storia dell’Arma dei Carabinieri, mentre quest’ultima si conferma pare integrante e culturalmente rilevante del concetto Trinamico e della Demopraxia (il fare del popolo), in prima linea nella realizzazione di un equilibrio tra organizzazione pubblica e vita privata, tra società e singoli.

Foto Pierluigi Di Pietro | Video Francesco Saverio Teruzzi

La Camera degli abbracci

Un progetto architettonico orientato alla cura attraverso l’abbraccio, ispirato al Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto.

TRA LE TUE BRACCIA

GLI OBIETTIVI

La proposta progettuale si prefigge di rispondere a una serie di bisogni legati al
concetto di cura sia del corpo che degli affetti, da concretizzare in un unico luogo.
Per rappresentare l’incontro, l’abbraccio, prendiamo in prestito il concetto di Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, formato da tre cerchi, due più piccoli laterali, che rappresentano l’”IO” e il “TU” e un cerchio più grande centrale che unisce i due concetti in un “NOI”.

Il progetto “tra le tue braccia” ha l’obiettivo di creare un luogo vivo, caloroso e attivo, rispettando le necessità dei pazienti e le loro disabilità, concentrandosi principalmente sulla sfera emotiva nel creare un luogo idoneo alla ricongiunzione con i propri cari.

La principale sfida è quella di progettare uno spazio di incontro che sia intimo, dove il
telo possa diventare il fulcro di un’esperienza di ritrovo e di contatto, più che un freddo
strato di separazione. La stanza sarà dunque accogliente e diversa dal resto della
struttura, per creare suggestioni positive e subito riconoscibili, che possa infondere
serenità e stimolare ricordi.
Lo spazio dovrà inoltre essere inteso come un luogo di condivisione anche al di fuori
del momento di incontro, sfruttabile quotidianamente dagli ospiti della struttura. Questo luogo potrebbe ospitare una sala per fare esercizi motori, una sala di svago per gli anziani ospitati dalla struttura o un giardino d’inverno.

Infine, la proposta prevede che lo spazio che si andrà a creare non sia dipendente dal
singolo ambiente, ma possa essere replicato in qualunque luogo, anche all’esterno,
mantenendo le caratteristiche specificate.

L’IDEA

Flessibilità, sensorialità, benessere, bellezza, condivisione, sono alcuni concetti su cui si basa il progetto, elementi fondamentali per mettere a sistema questi valori sono:

la parete “tra le tue braccia”, modellare una parete della stanza, renderla sinuosa e accogliente attraverso forme morbide, avvolgenti proprio come un abbraccio. Una parete che parla tanti linguaggi, composta da materiali diversi, riflettenti, morbidi, rigidi, su cui si può scrivere un messaggio, con cui fare ginnastica, o semplicemente specchiarsi.

La creazione di un ambiente vegetale, che richiami il paesaggio esterno, la campagna e i luoghi di infanzia. L’allestimento è volutamente in contrasto con la struttura che lo accoglie e consente al paziente e ai visitatori di ritrovarsi in uno spazio noto, riconoscibile, dove i colori, i profumi e la matericità rimandano a sensazioni di serenità e bellezza, come se un giardino fosse entrato nella stanza;

La creazione di un ambito raccolto, più ristretto e intimo, all’interno del quale avvenga l’incontro con i propri cari. Si propone dunque una struttura autoportante, l’utilizzo di luce calda può portare benessere all’incontro e all’abbraccio.

Il PROGETTO

L’elemento generativo della stanza è il luogo del “NOI” il cerchio centrale, in cui avviene l’incontro tra le persone, questo luogo enfatizzato dalla presenza di una luce calda che disegna lo spazio in tre dimensioni. Il cerchio luminoso funge da struttura generatrice del luogo di cura e affetto, permette di sorreggere il telo e congiungerlo alla parete “tra le tue braccia”.

La parete può essere realizzata in diversi materiali e forme, può essere in parte rivestita da una superficie lavagna, su cui i parenti degli ospiti possono scrivere delle frasi, può diventare una parete per esercizi motori, applicando alcuni oggetti ginnici studiati appositamente per far esercitare gli anziani, può contenere piante per rendere l’ambiente un vero giardino d’inverno. La superficie si presta per l’applicazione di stencil o wallpaper con rappresentazioni di alberi, foglie e fiori. Tutti i materiali utilizzati saranno facilmente sanificabili e igienizzabili.

Il tema della riproposizione di un giardino verde si appoggia alle nuove strutture e alle pareti della stanza messa a disposizione della residenza.

L’unione dei vari elementi: rappresentazioni naturali alle pareti, piante vere e
distribuite uniformemente, luce calda, sono le scelte che ci consentono di creare uno spazio diverso ma riconoscibile, noto e accogliente, modificabile secondo le esigenze, dove il verde e la natura entrano e circondano l’importante momento dell’ abbraccio ritrovato.

Progetto di arch. Giacomo Bassmaji, arch. Nadia Calzolari e arch. Chiara D’Orazi, promosso da: Ordine degli Architetti di Reggio Emilia, Comune di Reggio Emilia e l’ASP Reggio Emilia

GIACOMO BASSMAJI

Nel blu dipinto di blu al Ricetto di Almese


Oper-Azione Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto Le Ambasciate in collegamento mondiale nella giornata del Rebirth-Day, 21 Dicembre 2020.

A cura di Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
In collaborazione con Ricetto per l’Arte Comune di Almese, Associazione Cumalé, Cittadellarte Fondazione Pistoletto, Azienda Filati Tre Sfere e CiAL – Consorzio Imballaggi Alluminio

Il Dipartimento Educazione Castello di Rivoli torna a collaborare con l’Associazione Cumalé, il Comune di Almese e il Ricetto per l’Arte- centro propulsivo per la diffusione e la creazione dell’arte contemporanea sul territorio. Al Ricetto di Almese l’Oper-Azione Terzo Paradiso, a cura delle Artenaute del Dipartimento Educazione Castello di Rivoli, è un omaggio all’opera di Michelangelo Pistoletto e al suo progetto Rebirth-Day, Giornata Mondiale della Rinascita, avviato il 21.12.2012 su scala globale.Dalla torre medievale del Ricetto che guarda alla Sacra di San Michele e alla Valsusa, in questo nuovo Medioevo determinato dalla pandemia, il riverbero della luce dell’alluminio e il segno/simbolo del Terzo Paradiso realizzato in filo blu fornito dall’Azienda Filati Tre Sfere di Settimo Torinese, sono da intendersi come l’auspicio per una nuova rinascita.
Il Terzo Paradiso di Pistoletto suggerisce che, per la difesa del pianeta e dell’umanità, è indispensabile riconsiderare i comportamenti e lo stile di vita di ciascuno di noi, per un presente e un futuro possibile: un messaggio quanto mai attuale nel tempo che stiamo vivendo.

In continuità con il progetto dello scorso anno – Giochi di luce al Ricetto di Almese, il Terzo Paradiso en plen air prende forma a partire da cordoni di alluminio riciclato e riciclabile all’infinito (fornito da CiAl Consorzio Imballaggi Allumino, storico partner del Dipartimento Educazione), materia rilucente e risplendente che con i suoi bagliori evoca la luce che ritorna. L’oper-Azione di quest’anno inoltre si tinge di blu con i Filati Tre Sfere, incorporando tutte le valenze simboliche del colore blu poiché il colore da sempre ha mantenuto rapporti privilegiati con la materia tessile. Associato alla figura geometrica del cerchio, il blu evoca la ricerca di equilibrio, il desiderio di infinito (i tre elementi costitutivi del Terzo Paradiso) che si perde nell’immensità del cielo, nelle profondità del mare, negli spazi aperti. Il blu che da Giotto in poi restituisce il cielo all’umanità, grazie alla preziosità del lapislazzulo, la pietra, che arrivando dall’Oriente (oltremare) ha determinato la storia dell’arte così come la conosciamo, fino ai giorni nostri.
Terzo Paradiso è un progetto artistico nato per essere condiviso su larga scala, dalla dimensione locale a quella globale e che consente di attingere a nuove visioni anche attraverso il lavoro della rete degli Ambasciatori. L’oper-Azione al Ricetto di Almese, grazie alla collaborazione con Cittadellarte Fondazione Pistoletto ha un riverbero nel network mondiale del Rebirth-Day del 21.12.2020, di cui fa parte come assunzione di responsabilità e impegno a contribuire al processo di cambiamento, anche in un ideale collegamento con la Festa del Bianco e della Luce che il Dipartimento Educazione realizza al Gruppo Abele di Torino sempre nella giornata del 21 Dicembre.

Il Terzo Paradiso da tempo connota la Valsusa, anche in omaggio alle origini familiari valsusine di Michelangelo Pistoletto. Numerose le azioni partecipate e i progetti curati dal Dipartimento Educazione insieme alle scuole e ai propri partner sul territorio a partire dal primo Rebirth-Day, il 21.12.2012 con il S.U.S.A. – Sentiero Umano di Solidarieta’ Artistica e Ambientale: una moltitudine di persone tenendosi per mano da Torino fino a Susa, ha collegato la città alla Valle, un grande gesto artistico collettivo, una potente azione metaforica di riconciliazione fra Natura, Arte e Comunità. Lo stesso Forte di Exilles, monumento simbolo della Valle, è caratterizzato dal grandioso giardino del Terzo Paradiso creato sul giasset con 11.000 piante di lavanda con la partecipazione del maestro Pistoletto, in collaborazione con Cittadellarte, Susaculture e i numerosi soggetti del territorio.
Il segno- simbolo del Terzo Paradiso caratterizza anche il wall painting al Polo Sanitario di Avigliana realizzato dal Dipartimento Educazione Castello di Rivoli con un’azione partecipata insieme alle scuole del territorio, in particolare i giovani coinvolti nel progetto alternanza scuola-lavoro (I.T.C.G. Galilei di Avigliana, Liceo Scientifico Rosa di Bussoleno, Liceo Scientifico Darwin di Rivoli, I.I.S.S. Blaise Pascal di Giaveno), mentre all’I.I.S. Natta di Rivoli è stato realizzato il Wall painting in omaggio agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ONU – Agenda 2030.
Il segno-simbolo Terzo Paradiso è stato al centro di numerose oper-Azioni con le scuole di Rivoli e della Valsusa: dall’inaugurazione dell’Ambasciata del Terzo Paradiso all’Istituto Romero di Rivoli, alle azioni realizzate al Castello di Rivoli, al Liceo Scientifico Darwin di Rivoli e a Susa con il Liceo Classico e Scientifico Norberto Rosa.

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Istruzione di qualità, per genitori

Silvia Vercelli

Insieme all’Associazione culturale  “Lo Zainetto” di Trezzano sul Naviglio (Luogo di incontro per genitori e di gioco/laboratorio per bimbi tra 0 e 4 anni), durante il 2019, è stato avviato un ciclo di incontri tra genitori, da me facilitati con l’approccio maieutico e facendo leva sulle mie competenze di coaching di gruppo, finalizzati a condividere le teorie più recenti sull’educazione, invitare i genitori a documentarsi sugli stessi temi, facendo riferimento a fonti attendibili, e favorendo il confronto attraverso la rete così creatasi al fine che la crescita dei singoli genitori attraverso lo scambio e il sostegno reciproco si riflettesse sull’educazione dei bambini.

Considerate l’impossibilità durante quest’anno a incontrarsi di persona e, allo stesso tempo, l’esigenza sollevata da alcune mamme dell’associazione di dare continuità a questo tipo di iniziativa, mi sono accordata con la responsabile dell’associazione stessa (Alessandra) per riprendere con un format che meglio si adattasse alla modalità online ma potesse essere allo stesso tempo efficace.

È nato così lo spazio “La rubrica della mamma secchiona”, uno spazio di dialogo con Alessandra, con frequenza mensile e a partire dal mese di Novembre, dove ho la possibilità di condividere spunti e approfondimenti  da parte di esperti sulle differenti tematiche educative, che di volta in volta emergono come rilevanti da parte dei membri dell’associazione “Lo Zainetto” e concludere con un invito alla riflessione e domande aperte su quelle aree potenziali di miglioramento su cui l’adulto può intervenire nel proprio processo educativo.

Nel mettere a punto questo progetto è sorta spontanea la connessione di quest’iniziativa con l’obiettivo n. 4 dell’agenda 2030 (Istruzione di Qualità), vista l’opportunità di stimolare l’apprendimento continuo dei genitori verso un’educazione consapevole, attivare la capacità di discernimento di ciascuno rispetto all’attendibilità delle fonti d’informazione disponibili e ai diversi miti e tabù tramandati dalle generazioni precedenti, agendo di conseguenza sulla crescita di futuri cittadini autonomi e consapevoli del proprio potenziale.

Bisogna investire sui primi anni di vita dei bambini per combattere le future disuguaglianze”, cita l’Asvis nella presentazione dell’obiettivo n.4.

Il primo incontro online è stato in questo senso anche un’occasione per far conoscere gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 e WorldGlocal, ponendo così le basi per una potenziale partnership tra le due associazioni per opportunità future. Negli incontri successivi, prevederemo inoltre la partecipazione di testimonial da WorldGlocal, che possano attivamente portare contenuti dalla loro esperienza genitoriale e/o altri tipi di interventi che si possano collegare agli argomenti trattati.

Per chi fosse interessato ad ascoltare il primo incontro, questo è il link:

Il tema trattato qui, su richiesta della responsabile de Lo Zainetto in quanto molto sentito, è stato “Il Sonno”; questione di grande valenza educativa, spesso oggetto di controversia e che mette a dura prova il senso di adeguatezza dei genitori, responsabili da un lato di seguire le esigenze profonde del bambino per costruire una base sicura e dall’altro di dare i necessari limiti per educare all’autonomia e all’autoefficacia. Il tema anticipato per il mese di dicembre sarà invece legato all’utilizzo della tecnologia con i relativi effetti sui bambini e comportamenti da parte dei genitori.

“Il futuro dell’umanità e del pianeta è nelle nostre mani. Si trova anche nelle mani delle nuove generazioni, che passeranno il testimone a quelle future. Abbiamo tracciato la strada verso lo sviluppo sostenibile; toccherà a noi garantire che il viaggio abbia successo e che i suoi risultati siano irreversibili.” {Cit. da Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile}

Social Umarells

Autore: Francesco Saverio Teruzzi

Mentre tra un DPCM e l’altro l’Italia sta cercando di uscire indenne o quantomeno non a pezzi da una delle situazioni antropologicamente più strane che le siano mai capitate, sul web prende forza e vigore una figura che può sembrare retorica, ma altamente illuminante del perché poi qualsiasi decisione venga presa, anche completamente aderente alle proprie aspettative, ci si lamenta sempre: il Social Umarell.

Umarell è una parola mutuata dal bolognese “omino” per assurgere a fama nazionale per indicare il tipico pensionato o vecchietto che, dopo aver lavorato per una vita, un po’ per noia un po’ per alimentare i propri ricordi, si posiziona ai lati di un cantiere, preferibilmente aperto nel mezzo di un marciapiede o sul ciglio di una strada, mani dietro la schiena guardando e commentando, a volte dando anche dei consigli, l’operato di chi sta lavorando.

Sarà forse lo stare di più a casa per il Covid-19 o forse proprio lo smart-working, eppure mi sembra che questa figura si stia ritagliando un ampio spazio proprio all’interno non tanto del web, ma dei social network, con una netta predilezione per Facebook (che di fatto i ragazzi di oggi bollano come una cosa per vecchi).

Giallo, arancione e rosso, sono solo uno degli ultimi temi che fagocitano l’attenzione dei Social Umarells, che con ampia e leggera scioltezza sanno passare da Trump al campionato di calcio, dalla didattica a distanza alla scelta dei vestiti della giornalista di turno, dall’ultima serie televisiva alla chiusura anticipata di bar e ristoranti.

Attenzione, il Social Umarell non va confuso con il complottista, il negazionista o il polemista. Il Social Umarell non cerca riscontro, non vuole i like, né cerca la lite a oltranza.

Lui è lì per affermare la sua onnipresenza, per far vedere che va tutto bene quello che fai, però c’è un “ma”, una diversa interpretazione, magari sfumature, ma che in assoluto migliorano e perfezionano il concetto, l’idea, il ragionamento.

È quindi utile il Social Umarell?

Di certo non è il classico “esperto dello gnègnègnè ad oltranza”, ossia colui che viene a smontarti anni di studi perché lo ha letto sulla bacheca di Tizio o ha ricevuto un messaggio da Caio, senza contare che riconosce solo Sempronio come capace di. Lo Gnègnègnè Manager è un personaggio con il quale cerchi anche inizialmente un confronto, ma dove poi perdi, ma solo la pazienza, perché ti cambia argomento, ti fa domande assurde, ti molla dopo che hai scritto due pagine con un semplice “a me non mi convince”.

Il Social Umarell è quasi un nostalgico, è da tempi andati anche se sul web non ha età (e questo è un grande distinguo dalla realtà perché magari è un diciottenne), ti mette il like, magari lo sticker e poi magari ti da ragione fino a quando non ti piazza l’appunto, il commento, la sua valorizzazione o specifica sul tema trattato.

Ripeto: è quindi utile il Social Umarell? 

A volte fa compagnia, a volte un po’ tristezza, ma magari, e di questo bisognerebbe chiedere agli operai di un cantiere, a volte può esser “anche” utile, perché veramente conoscitore a fondo della materia, però (e qui son io a voler mettere un però) non sia mai che finisca in una discussione con leoni da tastiera, perché lì veramente può succedere di tutto!